Il Cambiamento della Pena di Morte per Reati di Droga: un’Intervista con Aurélie Plaçais

I reati di droga sono punibili con la morte in almeno 35 paesi e territori del mondo, e questo numero potrebbe crescere.

Nello scorso anno le autorità del Bangladesh e dello Sri Lanka hanno reintrodotto la pena di morte come possibile punizione per reati di droga, mentre i presidenti delle Filippine e degli USA hanno espresso il loro supporto per l’esecuzione delle persone coinvolte nel traffico di droga.

TalkingDrugs ha parlato con Aurélie Plaçais, direttrice della World Coalition Against the Death Penalty, per capire meglio come l’uso della pena di morte per reati di morte stia cambiando.

 

TalkingDrugs: Quali sono stati i cambiamenti recenti più significativi nell’uso della pena di morte per reati di droga? Perché sono avvenuti?

Aurélie Plaçais: In Iran, il governo ha posto fine alla pena di morte obbligatoria per droga, e morte persone hanno visto la loro condanna a morte commutata in sentenze inferiori. Una riforma sta anche avvenendo in Malesia, dove si sta rimuovendo la pena di morte obbligatoria. Questo è un trend globale; molti paesi stanno realizzando che non si può sconfiggere il traffico di droga condannando a morte un “mulo della droga” – una persona con potere e controllo del traffico limitati. Un’altra ragione è l’importante lavoro che il movimento internazionale per l’abolizione della pena di morte ha fatto – soprattutto la campagna di Harm Reduction International, ma anche il lavoro di altre organizzazioni come la Coalizione Mondiale contro la pena di morte – mettendo pressione all’ONU affinché le politiche attuate non portino alle esecuzioni. Da quando Harm Reduction International ha pubblicato [la loro ricerca sulla pena di morte] nel 2017, c’è stato un vero cambiamento nel modo di lavorare dell’ONU sulla questione.

 

TD: Le autorità malesi hanno annunciato nel 2018 che avrebbero abolito la pena di morte, ma sembrano aver cambiato idea. Perché crede sia accaduto?

AP: Quando l’hanno annunciato eravamo molto entusiasti! Ma poi abbiamo pensato, “Accadrà veramente?” Adesso li vediamo tornare indietro, e dire che è solo la pena di morte obbligatoria per reati di droga che verrà abolita. Ma perché l’abolizione abbia successo devi comunque avere il sostegno di una parte significativa dei cittadini, e chi detiene il potere, e in Malesia era un po’ troppo presto.

Per noi, il fatto che l’abbiano messo in agenda, che erano così forti a riguardo, e che hanno addirittura votato a favore della risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU sulla moratoria sulla pena di morte [nel 2018], dimostrano che ci hanno veramente provato. È qualcosa. È qualcosa su cui possiamo lavorare. Non siamo troppo delusi, perché vediamo comunque del progresso. Adesso sappiamo che è possibile.

 

TD: Come interviene la disuguaglianza di genere nell’uso della pena di morte per reati di droga?

AP: C’è così tanta discriminazione di genere quando si tratta della pena di morte. Le donne ricevono spesso condanne più dure degli uomini per essere complici [nei casi di traffico di droga].

Per esempio, in molti casi in cui una donna è complice di un crimine – per esempio, ha trasportato droghe nel suo bagaglio – è fermata con altri, spesso un marito o un parente maschio. Il parente maschio darà spesso la colpa alla donna o fornirà più informazioni alla polizia, così questa chiederà una condanna più lieve per lui. Nel frattempo la donna, non sapendo come funzionano le cose, verrà accusata di tutti il crimine e riceverà una sentenza maggiore.

La maggior parte [delle donne condannate a morte per reati di droga] sono straniere, hanno subito abusi terribili o violenze sessuali, o hanno qualche forma di disabilità psicosociale. È una vera somma di fattori. Se le fossero attribuite attenuanti e avessero un buon avvocato, non verrebbero mai condannate a morte. Ma perché provengono spesso da ambienti di basso status sociale e non possono permettersi un avvocato, vengono spesso condannate a morte.

 

TD: Come possono essere maggiormente protette le donne vittime di queste politiche?

AP: La prima cosa che stiamo cercando di fare è costruire un movimento.

Prima nel movimento non prendevamo in considerazione le specificità del braccio della morte. Ciò include cose basilari come le condizioni nel braccio della morte: le prigioni spesso non sono fatte per le donne – i beni di prima necessità non ci sono. Un altro problema è l’accesso alla giustizia; la stragrande maggioranza dei prigionieri sono uomini, così come la maggior parte di avvocati e giudici, e quindi le specificità delle donne nel sistema giudiziario non vengono prese in considerazione. È il lavoro del movimento abolizionista quello di rendere questa specificità più importante.

Quando si parla di attenuanti, è il lavoro degli avvocati presentare i casi alla corte per assicurarsi che siano al corrente delle specifiche discriminazioni di cui sono vittime le donne, specialmente quando fanno fronte a diverse discriminazioni per essere una donna, avere una disabilità psicosociale, o per aver sperimentato terribili violenze durante l’infanzia.

Quindi innanzitutto partiamo con noi stessi, perché è qualcosa che non abbiamo preso in considerazione abbastanza. In secondo luogo cerchiamo di aumentare la consapevolezza con i partner e di lavorare con comunità influenti – giudici, decisori politici, e l’ONU – in termini di impostazione delle linee guida e degli standard internazionali.

 

TD: Qual è la tua canzone preferita?

AP: Chop Suey! - System of a Down