Il proibizionisimo delle foglie di coca è un obsoleto retaggio del periodo coloniale

Agricoltore di coca boliviano in mezzo ad una piantagione organica di coca ne los Youngas
Contrariamente alla credenza popolare, la Coca Cola non ha raggiunto il successo vendendo bevande allungate con cocaina. Quel sapore caratteristico, a tutti noi ben noto, è in realtà derivato da una pianta molto nutritiva e valorizzata notevolmente dalle comunità che storicamente si sono dedicate alla sua coltivazione: la coca.
La pianta della coca è fonte di molto più che semplice cocaina. Può essere trasformata in un ampia gamma di prodotti: tè, farina, dolci e pure dentifricio – così come nella bevanda gassata preferita da tutti. Nell’epoca precoloniale la coca era glorificata per tutto il Sud America come una pianta salutare con proprietà nutrizionali e mediche. Tuttavia il consumo di coca, negli occhi del colonizzatore, era un’usanza barbara e inferiore. Ad oggi il bando della produzione e distribuzione di coca del 1961 è ancora in atto, con effetti devastanti per le comunità che la coltivano.
La coltivazione di coca venne universalmente vietata sulla base di una retorica imperialista e non scientifica, la sua proibizione fu legiferata nel 1961 con la Convenzione Unica sui Narcotici e Stupefacenti delle Nazioni Unite ed è sostenuta tutt’oggi. Con un’unica eccezzione: gli Stati Uniti sono gli unici importatori di coca leciti al mondo. La Coca-Cola, verosimilmente la compagnia più famosa di America, utilizza la pianta in questione in modo del tutto legale per ottenere quel suo sapore così inconfondibile e redditizio. Gli abbondanti profitti derivati dalla pianta sono legalmente sanciti per le compagnie farmaceutiche Coca Cola e, il suo possessore, Stepan Company.
Una pianta unica
A causa dell’associazione tra coca e cocaina, sostanza già afflitta da una narrativa razzista, a queste comunità viene ancora negata la possibilità di coltivare la propria pianta indigena, una coltura unica e per tanto un mercato internazionale unico. Lo stigma di tipo legislativo e la discriminazione verso le sostanze controllate in generale – senza contare quella verso le persone che le usano o producono – costituiscono ulteriori barriere.
Nel 1949 Howard B. Fonda, il delegato statunitense ad una commissione ONU che “studiava gli effetti della dipendenza da coca”, concluse che il consumo della foglia di coca avrebbe rappresentato un ostacolo per l’assimilazione di popolazioni indigene nella società “moderna” (leggere: coloniale). Operativa in Perù e Bolivia, la commissione non prese in considerazione la conoscenza scientifica, botanica e antropologica esistente, permettendo invece a Fonda, vicepresidente dell’azienda farmaceutica Burroughs Wellcome & Co., di dirigere il progetto – senza alcuna conoscenza di farmacocinetica, fisiologia vegetale o dell’importanza culturale della coca per le comunità indigene.
Richard Caballero in una piantagione di coca registrata a Enaco
Il rapporto desunse falsamente che la pianta di coca conteneva cocaina e perciò masticare coca avrebbe gli stessi effetti che usare cocaina: qui giace l’origine del mito Cocaina-Cola.
Proibizionismo “universale”
Quando gli Stati Uniti lanciarono la Guerra alle Droge negli anni ’70 iniziò la militarizzazione delle piantagioni di coca, con politiche finalizzate all’eradicazione delle piante e alla repressione dei coltivatori di coca, i quali divennero i nemici della Guerra. La DEA, l’agenzia federale antidroga statunitense, cominciò a militarizzare le regioni dove cresce coca: Perù, Colombia e (fino all’arrivo del presidente indigeno Evo Morales) Bolivia.
Tra gli effetti del masticare coca venne menzionato che l’uso danneggia l’intelletto e il giudizio morale del consumatore, nuocendo a relazioni sociali ed economiche – da qui l’idea che masticare coca ridurrebbe la capacità di comunità indigene di “essere all’altezza” degli standard sociali dettati dai discendenti dei coloni spagnoli.
É impressionante come gli Stati Uniti, architteto di gran parte dei ben radicati stigma e disinformazione riguardo alle foglie di coca, e impositore di poliche particolarmente repressive sui paesi che la producono, sia anche sede dell’unica compagnia al mondo che specula legalmente da queste foglie. Con autorizzazione dalla DEA, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del criminie (UNODC) concede un’eccezione per la compagnia madre della Coca Cola, Stepan Company.
Enaco, la compagnia statale peruviana con sede a Lima, esporta annualmente tra i 130,000 e i 150,000 chili di foglia di coca direttamente alla Stepan Company. “Queste foglie sono coltivate da 10,000 agricoltori di coca, assunti da Enaco” spiega il responsabile commerciale di Enaco, Richard Caballero.
Richard Caballero in mezzo ad un carico di foglie di coca, destinate agli Stati Uniti
“Le foglie sono spedite da Lima alla Stepan Company negli USA, la quale estrae l’alcaloide della cocaina dalla pianta e lo vende a compagnie farmaceutiche in Regno Unito, Scozia, Germania, Giappone e Stati Uniti per poi essere convertito in anestetico e usato per chirurgia oculare e altri scopi medici, con il rimanente che viene venduto come pianta aromatica dalla Stepan Company alla Coca Cola”.
Gli alcaloidi vengono rimossi dalle foglie di coca destinati alla Coca Cola – l’ONU infatti discerne queste particolari foglie come aromatizzanti. Le foglie distribuite a industrie farmaceutiche hanno scopi medici e scientifici, il che giustifica l’eccezione dal trattato del 1961. Queste industrie tuttavia sono situate in paesi occidentali e non hanno sede in Perù. Il Perù solamente provvede per la coltivazione della coca.
Foglie di coca pressate in un imballaggio, pronte ad essere spedite
Sfruttamento e oppressione
L’imperialismo si basa su un tipo di interazione tra paesi dove la distribuzione delle condizioni di vita, come reddito, proprietà, qualità di vita o livello di autonomia, è iniqua. Questa sproporzionata distribuzione è il risultato della posizione dominante di un paese, paese A, il quale agisce nel proprio interesse. L’altro paese, paese B, possiede le risorse necessarie al paese A. Paese A ha il controllo del mercato, domanda e offerta, le aziende, mezzi di comunicazione e marketing, conoscenze e prospettive di sviluppo mirate alla creazione di lavoro nel proprio territorio. Paese B potrà anche essere ricco in risorse, ma manca di possibilità occupazionali e di un’economia prospera, il che lo rende incline allo sfruttamento. Paese B è adatto soltanto all’estrazione delle materie prime. Ma l’estrazione da sola non crea lavoro. Poichè il guadagno deriva solo da quanto raccolto, l’economia non cresce. Di conseguenza, nel paese B è solito trovare un crescente malcontento nei confronti dello Stato inadempiente. La florida economia del paese A invece assicura benessere e meno insoddisfazione.
Ricapitolando, le foglie di coca possono crescere in Perù ma lo Stato non ha alcun diritto di esportarle per il proprio guadagno. Questo privilegio esclusivo è riservato a una compagnia statunitense e ad industrie farmaceutiche occidentali. Imponendo il divieto sulla coca agli altri paesi, privando le comunità che coltivano coca di relazionarsi con la propria cultura, e allo stesso tempo essendo gli unici a guadagnare da questo mercato internazionale unico, Gli Stati Uniti continuano a trarre profitto da un’egemonia di tipo imperialista. Il proibizionisimo delle foglie di coca è un obsoleto retaggio del periodo coloniale che ha disperatamente bisogno di essere riformato.
*Janneke Nijmeijer è la fondatrice di Fair Trade Cocaine, fondazione che ricerca alternative costruttive, umane e sostenibili alla Guerra alle Droghe, con in primo piano il commercio di cocaina. Uno dei suoi obiettivi è quello di ridurre la corruzione, la violenza, la militarizzazione e la distruzione ecologica che accompagnano le politiche sulla droga di tipo proibizionista.