Oltre 100 organizzazioni per i diritti umani si appellano allo Sri Lanka con una Lettera Aperta per impedire esecuzioni per reati di droga

Fonte: Sudath Silva
Harm Reduction International (HRI) si è appellata alle autorità dello Sri Lanka per fermare immediatamente l’esecuzione di tutti i prigionieri condannati per reati di droga, commutare immediatamente tutte le condanne a morte, e abolire interamente la pena di morte.
In una lettera aperta, HRI ha sollecitato l’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC) e la Giunta Internazionale per il Controllo degli Stupefacenti (INCB) affinché mettano pressione al governo dello Sri Lanka in seguito alle esecuzioni programmate di quattro persone nel braccio della morte per reati di droga, sostenuta da oltre 100 organizzazioni per i diritti umani, incluso il Centre for Policy Alternatives dello Sri Lanka.
Giada Girelli, analista dei diritti umani a HRI, ha dichiarato a TalkingDrugs: “Non ci sono prove che la pena di morte sia un deterrente al commercio di droga. Il presidente Sirisena sta compiendo una cinica manovra politica che violerà i diritti umani internazionali e renderà lo Sri Lanka uno stato paria.”
Almeno quattro persone sono state condannate a morte per reati droga nel contesto di una cosiddetta “Settimana Nazionale di Eradicazione della Droga”, dal 21 giugno al primo luglio 2019, in quello che sarebbe il primo uso della pena di morte in Sri Lanka dal 1976.
I mandati di esecuzione per i quattro prigionieri sono già stati firmati dal presidente Maithripala Sirisena – mettendo fine ad una moratoria di 43 anni sull’uso della pena di morte. La data è stata fissata ma non condivisa con il pubblico: si aspetta che i neoassunti boia finiscano la loro formazione.
Rajitha Senaratne, portavoce del presidente Maithripala Sirisena, ha dichiarato: “da adesso in poi, impiccheremo chi commette reati di droga senza commutare la loro condanna.” Altri 46 mandati di esecuzione sono stati preparati e aspettano adesso la firma del presidente.
Sirisena aveva detto voler reintrodurre la pena di morte già dal luglio 2018 – una proposta appoggiata dal governo dello Sri Lanka e con l’obiettivo di “replicare il successo” della cosiddetta guerra alla droga del presidente Rodrigo Duterte nelle Filippine. La guerra di Duterte ha portato a – in media – 33 uccisioni nel paese ogni giorno a partire dalla sua vasta vittoria elettorale nel giugno 2016, con politiche che prendono di mira le comunità più vulnerabili del paese.
Delle 24,000 persone al momento in carcere in Sri Lanka, il 60% lo è per reati di droga; ci sono 1,229 detenuti nel braccio della morte, di cui 48 condannati per reati di droga. Le autorità dello Sri Lanka dicono che un approccio più duro è necessario per combattere quello che descrivono come un aumento del crimine legato alla droga, anche se questo approccio ha portato a pochi risultati positivi a livello globale e abusi dei diritti umani e violenza di stato in vari paesi, inclusi, ma senz’altro non limitati a – le esecuzioni e gli omicidi extragiudiziali rispettivamente in Sri Lanka e nelle Filippine. Dati della Relazione Europea sulle Droghe 2019 mostrano una mortalità legata alle droghe significativamente più alta negli adulti (fra i 15 e i 64 anni) nei paesi con politiche sulle droghe punitive, come l’Estonia (130 per milione), Svezia (93 per milione) e Regno Unito (74 per milione). Come riferimento, la mortalità media per overdose in Europa è stimata a 22.6 morti per milione.
I critici si sono appellati alle autorità dello Sri Lanka affinché arrestino immediatamente le esecuzioni di prigionieri condannati per reati di droga e commutino tutte le condanne a morte. Appelli per abolire la pena di morte continuano sulla base del fatto che le esecuzioni per reati di droga sono proibite secondo i diritti umani internazionali.
Come dice il direttore per il Sudest Asiatico di Amnesty International Biraj Patnaik: “l’uccisione di una vita umana da parte dello stato è uno degli atti più gravi che un governo possa compiere. La severità della punizione necessita come minimo di totale trasparenza come salvaguardia di un processo equo.”
I reati di droga sono punibili con la morte in almeno 35 paesi e territori nel mondo. E studi dimostrano che “le persone provenienti da ambienti più svantaggiati, e chi appartiene a minoranze razziali, etniche o religiose subiscono il peso della pena di morte in modo sproporzionato”, scrive Dinushika Dissanayake, aggiungendo che “la pena di morte colpisce in modo sproporzionato chi vive in povertà.”
Il caso di alto profilo d Muhammad Lukman in Malesia, che è stato condannato a morte per avere trattato olio di cannabis e averlo distribuito a pazienti che ne avevano bisogno, ha generato una protesta pubblica. E l’Iran, fra i più prolifici esecutori di condanne a morte, ha passato delle riforme nel 2017, risultate in una drastica riduzione dell’implementazione della pena di morte. Ciò è stato un audace riconoscimento che tali sanzioni non sono efficaci come deterrenti per i reati di droga – oltre 4,000 persone sono state giustiziate tra il 2008 e il 2018, con un significativo trend in discesa fino a meno di 100 dopo le riforme dell’Iran.
Potete seguire il lavoro di Harm Reduction International su Twitter e leggere il loro comunicato stampa qui.