Oltre Duterte: un'eredità di politiche punitive sulla droga nelle Filippine

Il presidente Rodrigo Duterte, durante una conferenza stampa, presenta un grafico che illustra una rete del commercio di droga da parte di sindacati della droga di alto livello nelle Filippine, 7 luglio 2016. Fonte: Wikipedia.

In questi giorni, qualsiasi invocazione della guerra alla droga nelle Filippine richiama immediatamente alla mente la figura di Rodrigo Duterte. Questo è solo comprensibile: sotto la guida di Duterte, "decine di migliaia" sono già stati uccisi in nome di una guerra alle droghe che ha brutalizzato perlopiù la vita dei poveri. Nel febbraio 2021, lo stato filippino ha "finalmente ammesso la colpevolezza della polizia" in queste uccisioni.

La sobria realtà, tuttavia, è che questo regime punitivo esiste da decenni. All'inizio degli anni '70, l'ormai defunto dittatore Ferdinand Marcos motivò la sua dichiarazione di legge marziale dichiarando la propria guerra alla droga, seguendo correnti parallele nell'America di Nixon e capitalizzando le preesistenti nozioni popolari che equiparavano l'uso di droga alla criminalità. I successivi presidenti e politici filippini avrebbero utilizzato il "panico morale" intorno alla droga per portare avanti la propria agenda, culminando con la dichiarazione della presidente Gloria Macapagal-Arroyo di un'altra guerra alla droga all'inizio del 21° secolo.

Un'eredità duratura di queste guerre alle droghe è rappresentata dalla legge Republic Act 9165, nota anche come “Comprehensive Dangerous Drugs Act del 2002”, firmati in legge da Macapagal-Arroyo – che riprende la legge R.A. 6425 o “Dangerous Drugs Act del 1972” sotto Marcos. Nella sua totalità, la legge R.A. 9165 considera le droghe come "i più gravi mali sociali di oggi" e, di conseguenza, tratta i reati legati alla droga come crimini che meritano una punizione severa. La pena per la vendita di droghe proibite, per esempio, è l'incarcerazione per lo stesso periodo di tempo di quella prevista per l'omicidio. Tale è la forza della R.A. 9165 che di fatto serve come modello per la guerra alle droghe di Duterte - e la base per gli atti di violenza e la cultura dell'impunità che hanno prosperato sotto l'attuale governo.

Come se questa misura draconiana non fosse stata sufficiente, vari politici hanno anche spinto per una legislazione più punitiva. Nel marzo 2021, il Congresso filippino ha approvato una legge che renderebbe chiunque sia accusato di essere un importatore, finanziatore o "protettore" di droga colpevole fino a prova contraria: una mossa che va contro la Costituzione del paese, per non parlare dei più elementari principi dei diritti umani. Allo stesso modo, incoraggiati dalla retorica di Duterte, alcuni attori statali negli ultimi anni si sono anche mossi per ripristinare la pena di morte nel paese - ancora una volta, usando l'uso di droga, i colpevoli di reati per droga, e il pretesto della guerra alle droghe come giustificazione.

 

Cosa può spiegare questa propensione dei politici a perseguire misure sempre più punitive verso le persone accusate di reati legati alla droga?

 

Una ragione è che gli attuali paradigmi continuano a considerare le droghe come mali "eccezionali" - e quindi, come accennato prima, meritevoli di punizioni eccezionali. Anche tra i settori della società che possono essere considerati come cosiddetti alleati delle persone che fanno uso di droghe - e anche all'interno della comunità di persone che fanno uso di droghe - questo "eccezionalismo" pervade e plasma il discorso.  

Prendendo spunto da tale "eccezionalismo", i politici hanno continuamente utilizzato le droghe come tropi populisti, amplificando la nozione di uso di droga in una crisi nazionale in cui i membri "virtuosi" della società devono essere salvati dai "cattivi" tossicodipendenti - e quindi giustificando lo spargimento di sangue della cosiddetta guerra alle droghe. In un ambiente fortemente populista, essere "duri con la droga" in qualche modo rende attraente un leader. Dopo tutto, la vittoria di Duterte nelle elezioni nazionali del 2016 è stata in parte alimentata dalla sua promessa elettorale di liberare completamente il paese dalla droga - e implicitamente, dalle persone che la usano – dai tre ai sei mesi dal proprio insediamento.

A discapito del clima sempre più autoritario delle Filippine, alcune organizzazioni della società civile sono rimaste vigili nel monitorare l'agenda politica punitiva del governo e nell'intraprendere azioni necessarie e immediate. Oggi, in mezzo alla minaccia che il suddetto disegno di legge diventi legge, questi gruppi hanno strutturato documenti di posizione e hanno cercato rappresentazione nelle deliberazioni del Senato, sperando di bloccare il suo divenire legge - e di spingere per, come dice un documento di posizione che gli autori hanno potuto leggere, "un quadro normativo nazionale sulle droghe che promuova la giustizia e lo stato di diritto". Con la presenza di una manciata di alleati nel Congresso, sono state presentate anche proposte di legge alternative più umane, tra cui almeno due che insistono su un approccio di riduzione del danno per gli interventi sulle droghe.

È tuttavia improbabile che tali mosse possano influenzare l'opinione pubblica prevalente sulla droga e sulla guerra alle droghe.  Recenti sondaggi, se devono essere creduti, rivelano che Duterte rimane enormemente popolare nel paese, anche tra i poveri che delle sue politiche ne hanno fatto maggiormente le spese. Sostenuto da una retorica implacabile che insiste sulla morte indiscriminata di chiunque sia coinvolto con la droga, il regime brutale delle Filippine verso la droga non finirà così facilmente - e probabilmente persisterà anche dopo la scadenza del mandato di Duterte tra un anno.

Adesso, affinché una politica sulle droghe ragionevole e sostenibile possa attecchire e avere successo nel paese, ci vorrà molto più che opporsi ad un leader assassino; richiederà anche uno sguardo più attento e introspettivo alle attitudini sociali - e affrontare i pregiudizi che si sono inaspriti liberamente per così tanto tempo.

 

* Gideon Lasco è docente senior di antropologia all'Università delle Filippine Diliman e collaboratore del Centro di Criminologia dell'Università di Hong Kong.

* Vincen Gregory Yu è un medico e ricercatore associato al Programma di Studi sullo Sviluppo dell'Università Ateneo de Manila.